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martedì 6 agosto 2013

I sogni a occhi aperti di Olivetti

Nel post precedente, nel quale mi chiedevo quali sono le conseguenze di associare il lavoro alla metafora della risorsa, a un certo punto ho nominato Adriano Olivetti come portatore di un'idea di lavoro molto più complessa, per il fatto che si rendeva perfettamente conto che il lavoro serve a costruire il mondo nel quale viviamo. Contiene cioè una dimensione progettuale, individuale e collettiva, non riducibile alla contabilità.
Adriano Olivetti raccontato da cinque fanciulli

A questa dimensione utopica di Olivetti mi sono avvicinato perché ho avuto la fortuna, anni fa, di conoscere in occasione di alcuni seminari, Francesco Novara, morto nel 2009, che fu responsabile del centro di Psicologia di Olivetti per diversi anni.
Ascoltarlo era un'avventura straordinaria, perché parlava della sua esperienza come uno che a Utopia c'era stato davvero, ma faceva fatica a essere creduto, in un mondo divenuto scettico e cinico.
Di Olivetti si è parlato ancora negli anni, qualche volta viene nominato come buon esempio di imprenditore diverso, altre volte si fa riferimento a ciò che avrebbe potuto essere e non è, sia dal punto di vista delle scelte organizzative e gestionali, sia dal punto di vista strettamente economico, basti considerare che l'inventore del microprocessore, Federico Faggin, prima di andare a lavorare negli Stati Uniti, aveva fatto parte del gruppo di ricerca della Olivetti.
Più che la dimensione nostalgica, più dei rimpianti, però, forse vale la pena recuperare il senso di futuro dell'ingegner Adriano.
Per questo, appena finito di scrivere l'articolo Il lavoro è una risorsa, ho preso in mano il libro di Roberto Scarpa, Il coraggio di un sogno italiano, Scienza Expressche ha un titolo che sembra un messaggio alla nazione di Silvio Berlusconi, invece è un romanzo dove sono protagonisti cinque fanciulli, che durante la vacanze estive, grazie al racconto del nonno di uno di loro, si imbattono nella storia di Adriano Olivetti.