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mercoledì 3 ottobre 2012

Con il lavoro si costruisce la società


Intervista a Silvia Bencivelli
Silvia Bencivelli in viaggio
35 anni, giornalista scientifica, laureata in medicina, lavora in radio, tv, festival culturali, giornali. Collabora con “Presa diretta” ed è tra i conduttori di “Radio 3 Scienza”.
Ha pubblicato,
Perché ci piace la musica, Sironi. Tiene un blog dove parla del suo rapporto con il lavoro.
Da questo dialogo nasce il suo prossimo libro,
Cosa intendi per domenica? La mia (in)dipendenza dal lavoro
, LiberAria.


Che lavoro fai? Me lo descrivi?
Per descrivere il mio lavoro si usano sempre un sacco di aggettivi, giornalista scientifica freelance, in realtà non sono neanche giornalista, ma lo faccio. L'aggettivo scientifica sta a significare che mi occupo solo di scienza, freelance invece significa che non ho un posto fisso, lavoro per chi mi paga.



Sono una specie di commerciante della parola che ha a che fare con la scienza, una specie di artigiano direi, maneggio cultura e informazione scientifica e la propongo a pubblici e clienti diversi.

Il mercato della scienza è più vivace del resto del giornalismo perché in Italia non c'è una tradizione solida di giornalismo scientifico e questo consente di affiancare l'attività di giornalista con altre in campi limitrofi. Noi più giovani siamo cresciuti in un mercato meno definito ed è stata una fortuna. In questi anni si sono aperte molte possibilità con la scuola, i musei, i centri culturali, gli eventi scientifici, come i festival, che adesso ci considerano anche come punti di riferimento; ci sono gli uffici stampa dei centri di ricerca, dove lavorano molti della mia generazione; c'è stato anche un periodo in cui c'erano tante riviste, c'era un'attenzione più alta anche da parte di altri media. 

Per noi che abbiamo cominciato 10 anni fa, con la deregolamentazione del mercato dell'informazione, i giornali che hanno cominciato a utilizzare tanti collaboratori esterni, è stato un momento di apertura. Ora il mercato si sta contraendo, chi è più giovane non ha la mia fortuna.

Qual è la cosa più importante nel tuo lavoro, che non devi assolutamente trascurare?

I buoni rapporti con le persone con cui lavori. Bisogna fare comunità con i colleghi, anche se, certo, la solitudine la soffro anch'io. E poi bisogna mantenere buoni rapporti anche con i clienti e i capi. Ho mille capi. La cosa che però metto più in gioco, quello che mi dicono è la mia dote, è la velocità. Per me è importante fare le cose velocemente, così riesco a farne di più. 
Io sono pagata per le cose che faccio. Ho modo di vedere più spesso le mille declinazioni di un tema, magari un giorno conosco uno scienziato perché mi capita di moderare degli incontri, allora mi viene in mente che potrei intervistarlo su un tema che sta a cuore a un giornale, e in un altro momento gli chiedo aiuto, in quanto esperto di un tema che sto trattando.

Un'altra cosa importante è la curiosità, ho bisogno di leggere tanto, vado a cena con gli scienziati, ho tanti amici scienziati, sono la mia risorsa. C'è una forma di interesse dietro questi contatti e questo modo di procedere, ma è un interesse sincero. Ci vuole curiosità e pure un po' di faccia tosta.


Come è cambiato il tuo lavoro negli ultimi 3 anni?

È cambiato molto, generalmente negli ultimi anni si sono abbassati i compensi. Questo è avvenuto anche in Rai, che ho lasciato per un periodo e dove ultimamente sono tornata per un periodo di conduzione di Radio 3 Scienza.
Sono già tre anni che i compensi non aumentano. Io nel frattempo ho allargato un po' la rosa dei clienti, così ho potuto lasciare tanti lavori piccoli, che avevano poche connessioni con il resto delle cose che facevo.

Ormai vorrei considerarmi una professionista adulta a dispetto del mondo, non sono più giovane, sono nel pieno della mia possibilità, anche se dall'altra parte continuano a rimandarmi l'immagine della giovane, che deve crescere, e che dunque può anche accontentarsi di un compenso basso. È una specie di razzismo spontaneo, perché sei femmina e sei giovane. È il modo più facile per fregarti, “non essere impaziente” ti dicono, ti fanno sentire in colpa.

Col tempo mi sono resa conto che c'è più cameratismo tra maschi, anche tra anziani e giovani, mentre mi capita di vedere donne anziane che ripropongono schemi maschilisti. Ho sempre avuto capi donna, anche se non sono loro poi che ricoprono le posizioni apicali, e sono loro che finiscono per promuovere certi schemi. Ad esempio lavorano di più, come se dovessero sempre dimostrare qualcosa.

Un'altra cosa che soffro molto sono le colleghe vezzose che si prestano alle battute dei maschi dominanti. Va a finire che se mi faccio valere dicono che ho un caratterino, che ho grinta, e non sempre è un complimento, vuol dire che sono una rompiscatole. Pensaci, questa non è una cosa che si dice di un maschio, ma lo stereotipo della donna giovane che deve accondiscendere produce anche questo tipo di effetti.

Mi piange il cuore quando quelli più giovani di me mi chiedono consigli su cosa fare. Mi capita perché faccio anche delle lezioni nei master di giornalismo scientifico. Io non lo so. Dieci anni fa, ricordo, quando frequentavo il master, mi incoraggiavano tutti ad andare avanti. Nel mondo ci sono isole di fortuna, e io ci sono finita dentro. Ora agli allievi non faccio che raccomandare di non scrivere gratis.
Sui soldi, c'è una sorta di omertà fastidiosa e controproducente che induce un gioco al ribasso. In Rai per esempio, a ognuno di noi, il dirigente di turno, dice che stanno abbassando i compensi, che con tutti gli altri free lance impegnati nelle redazioni hanno fatto la stessa cosa. Nessuno ne parla con gli altri, ma se lo facesse scoprirebbe che ci hanno disgregato facendoci credere che siamo rivali. Ma io voglio sapere se il mio collega è pagato di più, magari perché vale di più. Sarebbe utile saperlo e sarebbe giusto parlarne tra colleghi.

Sopporto molto poco le assemblee dei giornalisti precari che si lamentano perché ci pagano due euro ad articolo. È vero, c'è chi propone paghe di questo livello, ma c'è chi accetta di farsi pagare così. Dicono che altrimenti chiamano lo stagista, che non costa niente, ma lo stagista deve rispondere a determinate regole, deve farlo entro i 18 mesi dalla laurea, anche se la possibilità in Italia è estesa anche a inoccupati, disoccupati e persone in mobilità di qualsiasi età. E poi, se il tuo lavoro può farlo anche uno stagista, vuol dire che non è così importante. Per fare bene il mio lavoro ho bisogno di viaggiare, studiare, conoscere. Se mi pagano due euro ad articolo non posso fare bene il mio lavoro e questa possibilità devo difenderla.

Questa cosa dei soldi è molto importante e sottovalutata. L'ultima volta, al master della Sissa, mi sono presentata con il mio estratto conto. I più giovani devono sapere che se prendono 1200 per 3 mesi, questi soldi, pagate le tasse, diventano 800 e non c'è niente da festeggiare.

Secondo te, cosa ha determinato in massima parte questo cambiamento?

C'è la crisi, ma è un pretesto. Il mio mercato è chic, siamo pochi, molto formati, anche caratterialmente formati. Nel mercato dei giornalisti scientifici ci parliamo molto. Io
non ci credo che il nostro mercato abbia una crisi così grave. L'editore che pubblica i giornali generalisti, magari sì, i grandi gruppi editoriali. Ma a fare il mio lavoro siamo in pochi, a spanne direi circa duecento in Italia. 
All'Università sì, mi sembra che ci sia più depressione, ci buttiamo via, è un periodo da "si salvi chi può". Io però sono tra i pochi del mio mondo che continua a crescere con i fatturati. Forse quest'anno no, ma ci sto dentro, comunque. Forse sono diventata brava a difendermi.
Siamo in un libero mercato, ma un libero mercato culturale non si giova tanto della concorrenza spietata. Il si salvi chi può dovrebbe diventare salviamoci tutti e penso che dovremmo cominciare dallo scambiarci le informazioni, superando l'omertà su tutto ciò che riguarda il denaro.
Il denaro ha anche a che fare con la valutazione del tuo lavoro, se vali di più, se ti assumi più responsabilità, è anche giusto che guadagni di più. Invece si è imposta una strana idea di equità. I dirigenti ti dicono che si devono abbassare i compensi e che per equità li abbasseranno a tutti. Ma in ogni redazione c'è magari chi tira avanti da tre anni con lo stesso compenso e non ce la fa più, chi prende tanto ma fa cose qualificate, chi prende tanto per motivi misteriosi, chi è appena arrivato e prende un compenso con cui non copre nemmeno le spese. Se all'ultimo arrivato levi dodici euro al giorno questo non ha niente di equo e di strategico. 
Tagliare a tutti la stessa quota è stupido, non equo.

Io quando scelgo quale lavoro portare avanti cerco di capire se è una cosa che vale la pena, se posso considerarlo un investimento che magari un giorno mi porterà a un bellissimo lavoro. Il mio libro sulla musica, per esempio,

mi ha aperto un mercato che non conoscevo. Da quel momento mi hanno proposto interviste, sono stata coinvolta in altri progetti. Il libro è uscito nel 2007; in Italia è alla seconda edizione ed è stato tradotto in Francia, Spagna e Stati Uniti, cosa rara per un esordiente. All'epoca non capivo quanto valesse l'investimento, adesso ci vivo ancora di rendita. Anche un blog è un investimento, scrivi gratis, in uno spazio che è tuo, ma crei anche contatti, alimenti un discorso, e in questo modo è nato il libro sul lavoro con LiberAria che dovrebbe uscire nel 2013. Pensa che certe volte sono arrivata a duemila contatti in un giorno.

È cambiato qualcosa nel tuo atteggiamento verso il lavoro a seguito di questi cambiamenti? Se sì, perché?

Il mio atteggiamento è maturato molto, per esempio non lavoro quasi più dopo cena. Faccio cose più piccole, oziose. Se sto a casa e sono da sola, una volta a settimana, aggiorno il blog, sistemo cose, ma non lo considero più un tempo per lavorare. Sabato e domenica invece le considero giornate di lavoro, a meno che non vada fuori Roma, anche se ci dedico meno ore che nel resto della settimana. Sono molto orgogliosa di come è cambiato il mio atteggiamento, mi sento più consapevole.
Un'altra cosa che è cambiata è che adesso non mi vergogno a chiedere il gettone di presenza quando partecipo a un incontro pubblico, e se i pagamenti ritardano chiamo e chiedo. Prima avevo una sorta di vergogna, ti dicono che sei venale e te lo fanno credere.

Ed è cambiato anche il mio modo di scrivere. Me l'ha fatto notare un mio amico che mi ha detto che quando ero piccola ero sì brava a scrivere, ma troppo spumeggiante, e ci sono situazioni in cui non va bene. Ho rivisto alcune cose scritte in passato e mi sono accorta che è vero, ero molto portata a giocare con le parole. Aver smesso di giocherellare sempre lo considero un traguardo dell'età adulta. Io mi divertivo tanto, ma forse qualcuno pure si scocciava di tutto questo entusiasmo. Mi diverto sempre, e ogni tanto mi viene pure da ridere mentre picchietto sulla tastiera, ma sono diventata anche più capace di considerarlo davvero un lavoro, mentre un tempo consideravo soprattutto una fortuna fare questo mestiere.


Credo che sia una caratteristica dei nostri tempi. A noi, figli della borghesia che faceva i lavori che si era scelta, ci hanno messo in testa che si lavora per fare quello che piace. Non sempre è un vantaggio, nel momento in cui vogliono farti lavorare gratis, è bene ricordarsi che è lavoro, per te stesso e per la società, e comporta una responsabilità. È più onesto ricordarci che con il lavoro si costruisce la società. È una responsabilità pubblica, sia quando fai un lavoro che ti piace, sia quando fai un lavoro che non ti piace.


Cosa non sopporti del tuo lavoro?

L'incapacità di fare gruppo, siamo tutti rivali e diffidenti. Sono un poco delusa, ma nello stesso tempo non mi sento tanto in grado di criticare.
Un'altra cosa che detesto è il fatto che devi essere la tua segretaria, gestire la contabilità, fare la commercialista, recuperare i crediti. Da un certo punto di vista mi costringe a controllare sempre tutto, ad esempio io so sempre quanto ho in banca.

Quando dici che hai fatto bene il tuo lavoro? Fai un esempio?

Quasi sempre. In questi giorni non sono mai troppo soddisfatta della conduzione in radio (si riferisce alla conduzione di Radio 3 Scienza nella settimana dal 30 luglio al 10 agosto 2012), ma ritengo comunque di avere fatto buone puntate. 
Se non sono soddisfatta mi angoscio. A volte sono stata molto soddisfatta alla fine di conferenze dal vivo, sono abbastanza brava a fare lezione a studenti, a moderare le conferenze.

A volte le mie qualità mi sono confermate da un occhio esterno, quando mi capita di scrivere un articolo e lo scienziato che lo rilegge mi fa i complimenti, allora gongolo. Quando vado in televisione invece non sono tanto soddisfatta, ho ancora tanto da imparare e faccio un sacco di fatica per risultati mediocri. Ma combatto eh, e ho voglia di capire.

Un'altra cosa che mi dà conferme sono i complimenti che arrivano dal pubblico, devo
solo stare attenta a non lasciarmi troppo lusingare.

Che lavoro sognavi di fare da bambina?

La passione più duratura è stata quella di fare l'archeologa, tra la III elementare e la II media, l'egittologa per la precisione. Ero una bambina che non faceva religione e quel pantheon di idee mi affascinava, c'era anche un aspetto fiabesco. Prima ancora, da piccola, sognavo di fare tre lavori in contemporanea, benzinaio al mattino, muratore al pomeriggio e clown la sera. Quello che è successo davvero è che faccio più lavori nel corso della stessa giornata. Del benzinaio mi piaceva l'aspetto virile, ero una bambina piccola e gracile e pensavo che prima o poi avrei recuperato e sarei diventata muscolosissima e forzuta; il muratore mi piaceva che fosse un lavoro che si fa all'aperto, per me aveva l'aria di un grande gioco con il Lego; e del clown mi piaceva che si esibisse davanti a tutti.

E che nesso c'è con il lavoro che fai ora?

Quando a scuola mi rimproveravano e mi imponevano di fare una cosa davanti a tutti, in realtà ero contenta. L'esibizionismo è ritornato fuori nel corso di laurea in Medicina. Ho sostenuto cinquantasei esami e mi sono divertita tantissimo; per me sostenere l'esame era una sorta di one student show, perché in quel momento i professori che hai davanti sono costretti ad ascoltarti. Mi è capitato spesso di sostenere un esame preparato insieme a una compagna supersecchiona e di portare a casa un voto migliore di lei, ma solo perché io ero brava a parlare e mi sapevo vendere bene.
Per la mia famiglia avrei dovuto fare il medico. Al liceo mi piaceva Scienze, soprattutto quando incontravamo argomenti che sapevano di nuovo, come la biologia molecolare e la genetica. Ma soprattutto mi piaceva studiare, mi piacevano la Letteratura tedesca e la Storia dell'arte. Mescolavo tutto, senza prestare troppa attenzione ai programmi scolastici. Poi sono passata al test di ingresso al corso di laurea in medicina al primo colpo, ma per me era chiaro avrei fatto un mestiere umanistico, oppure storia dell'arte, alla fine ci sono quasi riuscita.

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