Se
un signore, direttore di una società, nel descrivere il suo lavoro
dice una cosa del tipo: “Il direttore di una società ha una serie
di compiti che mi sembra scontato ripetere, comunque… sono
responsabile del personale; responsabile della sicurezza;
responsabile della privacy; responsabile del corretto svolgimento
delle procedure; della contabilità; della redazione del bilancio;
dell’ordinaria amministrazione che ha a che fare con la lettura
della posta in arrivo; lo smaltimento e le risposte; sono
responsabile del rispetto dei regolamenti e della normativa; sono
responsabile del depuratore; perché l’azienda per poter esistere
ha bisogno del rispetto di una valanga di normative; dell’albo
gestori; dell’albo autotrasporti. Partecipo al Consiglio
d'amministrazione, seleziono il personale, l’acquisto del materiale
dai camion ai cassonetti. Ma queste sono tutte cose scontate”; mi
vengono molte domande.
Il lavoro dovrebbe aiutare a integrare le varie parti di noi, il bisogno di dipendenza, quello di autonomia, la progettualità, la tendenza gregaria che ci porta a eseguire, ecc. Integrare vuol dire più o meno che dentro ognuno di noi si forma un'immagine coerente e univoca che rappresenta cosa è per ognuno di noi il lavoro che facciamo, tale immagine risponde alla domanda: a cosa serve il lavoro che fai? Un insegnante potrebbe dire una cosa del tipo: aiutare la crescita dei bambini, o dei ragazzi; un operatore ecologico: a tenere pulita la città; un artigiano: a costruire mobili che aiutino le persone a vivere confortevolmente.
È esattamente come nella storiella di quell'uomo che passa davanti a una grande opera in costruzione e chiede agli uomini che stanno trasportando grossi blocchi di pietra cosa stiano facendo: “trasporto pietre”, risponde uno di loro, anche un po' seccato della domanda banale; “non vedi? mi sto spaccando la schiena per dare a campare alla famiglia” reagisce un secondo; mentre un terzo interpellato si gira sorridendo e dice: “stiamo costruendo una chiesa”.
Il lavoro dovrebbe aiutare a integrare le varie parti di noi, il bisogno di dipendenza, quello di autonomia, la progettualità, la tendenza gregaria che ci porta a eseguire, ecc. Integrare vuol dire più o meno che dentro ognuno di noi si forma un'immagine coerente e univoca che rappresenta cosa è per ognuno di noi il lavoro che facciamo, tale immagine risponde alla domanda: a cosa serve il lavoro che fai? Un insegnante potrebbe dire una cosa del tipo: aiutare la crescita dei bambini, o dei ragazzi; un operatore ecologico: a tenere pulita la città; un artigiano: a costruire mobili che aiutino le persone a vivere confortevolmente.
È esattamente come nella storiella di quell'uomo che passa davanti a una grande opera in costruzione e chiede agli uomini che stanno trasportando grossi blocchi di pietra cosa stiano facendo: “trasporto pietre”, risponde uno di loro, anche un po' seccato della domanda banale; “non vedi? mi sto spaccando la schiena per dare a campare alla famiglia” reagisce un secondo; mentre un terzo interpellato si gira sorridendo e dice: “stiamo costruendo una chiesa”.
Per
ognuno di noi il lavoro è tante cose: un salario, certamente e
giustamente; fatica; molte operazioni da svolgere; tante persone da
vedere; aspettative, sogni, delusioni ecc. L'espressione “stiamo
costruendo una chiesa racchiude molte delle cose elencate: è fatica,
dà un salario, è un progetto; è cioè un'espressione che fa
pensare che le varie parti siano ben integrate ed equilibrate tra
loro, al punto da poterle contenere con semplicità e chiarezza in
una singola frase. La descrizione del direttore invece è
frammentaria, non si capisce qual è il nucleo centrale, non è
chiaro che cosa da senso, valore, al suo lavoro. Succede spesso, e
forse su questa mancanza vale la pena riflettere.
sono d'acccordo con il concetto: "sapere perché lo fai, ti fa lavorare meglio", non concordo però sull'esempio: al direttore hai chiesto di descrivere il suo lavoro, credo che anche il "costruttore di chiese" avrebbe risposto con un elenco di compiti alla stessa domanda. Se durante un consiglio di amministrazione o una riunione per la selezione dei fornitori avessi chiesto al direttore cosa stava facendo, forse ti avrebbe detto "sto dirigendo questa organizzazione, per fare del mondo un posto migliore" (oppure, se meno illuminato, "sono occupato a far soldi, non mi aggiungere rogne")
RispondiEliminaE' vero quello che dici, il direttore intervistato poteva pure essere nervoso in quel momento, o infastidito, oppure aveva delle preoccupazioni urgenti, delle cose da fare, come sbrigare la posta e così via. Estrapolare una frase e affidarle il compito di interpretare un mondo rischia di essere un esercizio manipolatorio. In questo caso specifico all'intervistato è stato restituito il mio stupore e da lì siamo partiti per sviluppare un intervento formativo che aveva al centro proprio la questione del senso. Il fatto è che i cambiamenti di contesto o di strategia non sono assorbiti con facilità dalle persone e dalle organizzazioni nelle quali lavorano. Pensa, solo per fare degli esempi che mi sembrano particolarmente evidenti, a come sono cambiati mestieri come il medico, con tutto il processo di burocratizzazione che ha investito i medici di famiglia; o l'insegnante, che deve conquistarsi l'autorità giorno per giorno, e ridefinire il suo compito primario in un contesto che è completamente cambiato. Sicuramente lo spazio di un blog non favorisce ragionamenti troppo raffinati e pazienza, vuol dire che ogni volta che c'è un buco nel ragionamento qualcuno me lo farà notare e io per quello che posso proverò a rispondere. Grazie quindi.
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