Le
prove Invalsi in terza media sono buone o cattive?
A
fare l'aperitivo in giro capita di conoscere una insegnante che ha
seguito l'esame di terza media e che ha caricato i dati delle prove.
Invalsi sta per Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema
Educativo di Istruzione e di Formazione. Da quello che ho capito i
test in italiano e matematica sono prove che misurano le
metacompetenze, cioè la capacità di comprendere un problema, di
leggere, valutare e interpretare un testo.
Info dal sito Zanichelli
I test Invalsi si fanno
anche in II e V elementare e dal prossimo anno anche al secondo anno
di scuola superiore.
L'insegnante
che ho incontrato e che chiamerò Angela, è critica, ma non
distruttiva. Dice che le prove sono importanti soprattutto come
strumento di autoanalisi delle scuole. Se i ragazzi faticano a
intendere un testo, sia esso un problema di matematica, un testo di
divulgazione scientifica, un racconto, ma anche un biglietto del
treno, vuol dire che il lavoro in classe non è stato fatto al
meglio, e questo impone di dar vita a dei progetti di miglioramento.
Cosa che i singoli istituti possono fare e che alcuni istituti,
scelti tra quelli che hanno ottenuto i risultati più bassi, hanno la
possibilità di fare grazie a dei progetti specifici finanziati dal
Miur. I migliori istituti, invece, ricevono dallo stesso ministero
risorse aggiuntive.
Secondo
Angela però i test non vanno bene come strumento di valutazione
dell'allievo all'esame di III media, perché influenzano il voto per
1/7 del totale. Gli altri 6/7 sono dati dal voto di ammissione, dalle
prove scritte di italiano e matematica scritta, dalle prove scritte
delle due lingue straniere, dal colloquio orale. Il rischio è che un
ragazzo, magari perché straniero e quindi con poca confidenza con la
lingua, abbia il voto fortemente ridotto a causa della prova che è
andata male, pur avendo fatto grandi progressi negli anni precedenti
grazie all'impegno profuso. Il ragazzino che magari è stato ammesso
a maggioranza, che però riesce a copiare egregiamente, oppure
semplicemente è in grado di svolgere bene la prova per altre sue
caratteristiche, rischia di avere un voto migliore rispetto al
ragazzino che si è impegnato ed è migliorato tanto. Sostanzialmente
Angela dice che le prove Invalsi non sono in grado di misurare i
progressi dei ragazzi, mentre possono essere molto utili per
analizzare la capacità della scuola di favorire l'apprendimento.
Il
fatto temuto da Angela si è prontamente presentato, il ragazzino
ammesso a maggioranza è riuscito a copiare prendendo un buon
punteggio, il ragazzino straniero invece ha rischiato di prendere un
voto basso. Allora Angela e le colleghe, nel caricare i dati, hanno
manipolato i risultati, in modo da favorire il ragazzino studioso. Mi
dice Angela, che l'esame ha un valore di rito di passaggio importante
e non è giusto che uno che ha fatto grandi progressi e sforzi sia
giudicato come chi se ne è sempre fregato di impegnarsi. Insomma, al
centro ci sono i ragazzi, non la prova. La prova è uno strumento, ma
appunto, serve se misura la qualità dell'insegnamento e favorisce i
cambiamenti di approccio e metodologia nelle scuole. Può servire
anche a misurare i miglioramenti puntuali, purché sia finalizzata a
dare vita a dei percorsi di miglioramento riservati ai ragazzi,
altrimenti rischia di essere uno strumento punitivo.
Ma
non c'è il rischio così che prevalga il giudizio arbitrario
dell'insegnante? Mi dice di no, perché comunque le decisioni vengono
decise collegialmente e sulla base di criteri condivisi tra gli
insegnanti. Non sei mai da sola quando decidi, mi dice.
Sostanzialmente il problema è che gli insegnanti rischiano di
perdere il controllo di quello che fanno, perché il peso delle prove
Invalsi è uguale alla storia di tre anni di vita e questo, secondo
Angela, non va bene.
Allora,
sono buone o sono cattive le prove Invalsi?
Antonio ciao,
RispondiEliminacomplimenti per il post e per il tuo blog.
Lo strumento dei test invalsi, come ben evidenzi, non può essere buono
in sé. Come tutti gli strumenti dipende dagli obiettivi, dall'uso che
se ne fa, dalle attese di coloro che sono chiamati a metterlo in
pratica (e dalla comunicazione che se ne da...), dallo scarto fra
esistente e auspicato o forse anche fra dichiarato e reale.
Il rischio che si corre in casi come questi, mi sembra, è triplice:
1. spaccare la platea fra favorevoli e contrari allo strumento;
2. inibire ogni possibile analisi e quindi costruzione di ipotesi che
provi a tener conto della complessità (del contesto oggi, della
scuola, delle relazioni fra insegnanti, alunni e famiglie, delle
attese reciproche, ...);
3. eludere altre questioni che attraversano oggi la scuola, come per
es. la standardizzazione dei contenuti, la desoggettivazione di coloro
che a diverso titolo partecipano alla produzione del servizio scuola.
Sull'uso distorto dei test invalis ci siamo soffermati anche nel
nostro blog appunti di lavoro, in un post dove una scuola sembra non considerare le rove degli studenti meno performanti (disabili,
stranieri) per non peggiorare il proprio punteggio relativo. Dagli
un'occhiata http://www.facebook.com/l/mAQEG-S3HAQEgDNeEKazLuDw8KcuvJeGKFWdV-7sWN6rRhQ/appuntidilavoro.wordpress.com/2012/06/27/parti-uguali-tra-diseguali/
.
Sarebbe interessante poter continuare a riflettere insieme su questi
temi.
Buon proseguimento,
Matteo
Eh sì, caro Matteo, primo problema, tendiamo a ragionare sempre sganciando le azioni dai contesti, le azioni dai discorsi. Per esempio negli ultimi anni è stata onnipresente la parola meritocrazia. Rispetto a cosa si è meritevoli? Ci vuole un principio di autorità che dica rispetto a cosa, perché almeno così lo si può contestare. Eppoi, ci vuole che chi si assume il rischio, l'autorevolezza di dichiarare qualcosa, deve poi essere in grado di fare i conti con la sua stessa capacità di essere coerente. Dalla chiacchierata con Angela ho avuto la sensazione che non sia chiara a nessuno il ruolo e la funzione dei test, li si utilizza per troppe cose. Trovo che valutare sia fondamentale in qualsiasi contesto, ma che spesso si riduca ad adempimento burocratico, mentre avremmo bisogno di valutazioni che ci aiutano a capire in che direzione vogliamo andare e cosa vuol dire, per ognuno di noi (se mancano i soggetti cosa valuti a fare?) crescere
Eliminacomplimenti Antonio, hai toccato un punto a mio avviso davvero importante.
RispondiEliminaDistinguere la valutazione dalla misura (o dall'indicatore che tale misura consente o stima) è un elemento di maturità spesso assente nelle nostre organizzazioni. Per consentire misure "valutabili" bisognerebbe potersi fidare delle capacità di chi, a fronte dei dati misurati (tra i quali i punteggi INVALSI) valuta la qualità dell'apprendimento di un allievo o il suo grado di preparazione (che son due cose diverse, tralaltro).
Per "sicurezza" però ci si limita a definire un indicatore generale e a far coincidere con questo anche (parte del)la valutazione; questo comportamento attira critiche sullo strumento "che non tiene abbastanza conto.." e può spingere a taroccare i risultati.
In questo modo si ottiene solo un rapido degrado dello "strumento di misura" che non è agganciato ad un sistema di valutazione, a risultati inaffidabili e inutilizzabili per altri scopi, ad una sostituzione più frequente del necessario degli strumenti, delle tecniche, dei criteri, cose che contribuiscono a generare un "tipico" clima di confusione e rassegnazione.
Carlo, aggiungerei a quello che dici tu, che mi pare perfetto, che si possono misurare: 1) la capacità di apprendimento; 2) la qualità dell'apprendimento; 3) la qualità dell'insegnamento; 4) la qualità dell'organizzazione che alla luce di tutte queste valutazioni fa un ragionamento e si dà un progetto per migliorarsi.
EliminaE ancora, per ognuno di questi punti puoi misurare un traguardo raggiunto, oppure un percorso fatto e così via. Se non vuoi generare confusione e rassegnazione tutto questo dovrebbe essere chiarito prima a tutti, raccontato, affinché diventi cultura comune, e presidiato. Non te lo so dire se nella scuola stanno nascendo percorsi di questo tipo, o se, come spesso accade in Italia, si è cominciato un processo di cui alla fine resterà solo un pezzo monco. Per quanto riguarda le organizzazioni di lavoro, le aziende ecc. in effetti spesso la valutazione riguarda solo pochi indicatori oggettivi (ad esempio le performance e il raggiungimento degli obiettivi), con poca considerazione dei processi, dei contesti, della qualità della vita di chi valuta e di chi è valutato.