Intervista a Marco
Torchio, 16 luglio 2012
Architetto, laureato al Politecnico di Torino, è presidente di Keoproject una società nata nel 2005 e che ha sede a Racconigi, vicino Torino.
Architetto, laureato al Politecnico di Torino, è presidente di Keoproject una società nata nel 2005 e che ha sede a Racconigi, vicino Torino.
Marco Torchio alle prese con un vecchio fusto |
Keo
realizza progetti sostenibili dal punto di vista ambientale ed
economico. Il PET, raccolto attraverso la macchina Mr Pet, piazzata
davanti ai centri commerciali e nelle piazze, è trasformato in
carrelli della spesa, tessuto, materia prima utilizzata da altri
produttori.
Le vecchie barrique costituiscono la materia prima con
cui sono realizzate le Sedie del Torchio. Altri materiali utilizzati
sono il cartone e i vecchi barili d'olio. Una divisione dell'azienda,
Keohabitat si occupa della realizzazione di case di classe energetica
A.
Che
lavoro fai? Me lo descrivi?
Organizzo
dei progetti. Il progettista è per
me una
persona che di mestiere pensa a un progetto. Questo progetto deve poi
essere organizzato per passare dall'idea alla realizzazione che sta
sul mercato.
Organizzare un progetto significa occuparsi della sua
realizzazione nel tempo, della parte logistica e di quella
industriale.
Il
progetto è la concretizzazione, la risposta a un bisogno che viene
dal mercato.
Qual
è la cosa più importante nel tuo lavoro, che non devi assolutamente
trascurare?
La
percezione della qualità che deve avere l'altro.
Nel
tempo ho maturato questa convinzione, la soddisfazione del bisogno è
legata a fare stare bene le persone. Dovrebbe essere tua premura
pensare al benessere della persona
che abiterà
la casa che hai costruito, o utilizzerà l'oggetto, il dispositivo,
che hai progettato e realizzato.
A
volte sbagliamo perché pensiamo che la gente pensa quello che
pensiamo noi, e invece la gente pensa quello che pensa lei.
Quando
devi
spiegare come si usa una cosa, vuol dire che la gente
la sta usando a modo
suo: io penso che se non hai bisogno di spiegare, vuol dire che la
gente ha capito come usare un certo oggetto e lo fa in modo adeguato.
Quando
dico “gli altri” intendo dire chi paga il progetto. Normalmente i
soldi arrivano dal basso, attraverso l'acquisto diretto, o attraverso
le tasse, quando invece
è
l'ente pubblico ad acquistare qualcosa. Quando dico “gli altri”
io parlo dell'utente finale, il cittadino.
Ti
faccio un esempio, l'altro giorno ho visto sullo scaffale di un
centro commerciale che esiste un detersivo per piatti con aroma
Portofino ore 8.30, esiste pure l'aroma Montecarlo ore 24, e altri
aromi del genere.
La
magia di quella cosa, non è tanto chi si è inventato quel nome, ma
il fatto che abbia capito che c'era qualcuno che aveva bisogno di
quel detersivo e quell'aroma, tanto che mi sono ripromesso di andare
a comprarne un flacone. Tu lavori su quello che l'altro gradirà.
Come
è cambiato il tuo lavoro negli ultimi 3 anni?
È
cambiato tanto. È cambiata tanto la mia azienda, che è passata dal
pensare alla progettazione come uno studio di progettazione (dove su
input del committente c'è qualcuno che pensa a come fare una cosa);
al cercare il risultato attraverso indagini di processo. Noi
progettiamo oggetti di plastica partendo dalla materia prima che ti
viene data, il PET riciclato, che ha certe caratteristiche, con cui
puoi fare delle cose e non puoi farne altre. Devi sperimentare le
applicazioni possibili. Devi anche riuscire a dialogare bene con chi
ha la materia prima in mano, perché questo significa pagarla di
meno. Infine, devi passare dal pensare a un oggetto al pensare a un
prodotto, che è costituito dall'oggetto più il valore che ha per
chi lo usa.
È
come la storia del detersivo con l'aroma Portofino, l'oggetto è il
detersivo, il prodotto è costituito dall'oggetto più il valore che
ha quel particolare aroma per chi ne fa uso. Pensare l'oggetto nelle
mani della gente ha chiesto sforzi importanti. Io mi sono preso il
ruolo di cercare di capire quelle cose.
Chi
sceglie un prodotto lo fa perché individua in esso la possibilità
di soddisfare un bisogno che spesso è immateriale. Ti racconto una
scena a cui ho assistito stamattina.
Ero
al Carrefour di Collegno e
ho visto arrivare una signora con dei tacchi da 20 cm. Faceva fatica
a spingere il carrello, faceva
caldo e poi a terra in quel parcheggio ci sono quei forati dove ci
cresce l'erba in mezzo; eppure lei ha deciso che le andava bene così,
in quel momento voleva fare quella cosa lì. Forse perché il centro
commerciale è diventato come fare lo struscio e allora anche se il
parcheggio ha i buchi non gliene frega niente. Si chiama libertà,
che è anche quella di cadere e rompersi la caviglia.
Le
aziende sovente in noi vedono il loro futuro, nuove materie prime,
nuove tecnologie, nuovi sistemi di comunicare. Quando invece parliamo
con le persone, troviamo che contribuiamo alla soddisfazione di
bisogni primari. Vedo che tante persone si sentono bene quando
portano le bottiglie a Mr. Pet.
Lo capisco perché a loro costa anche sforzo raccoglierle,
conservarle, magari per dei mesi, visto che la macchina è rimasta
fuori uso per tanto tempo, e poi portarle.
Mi
piacerebbe che scoprissimo perché si sentono bene, magari è
semplicemente perché vogliono dimostrare ai vicini che loro sono più
bravi, che ne so. Quando li osservo lì in fila per depositare le
loro bottiglie, scopro dei meccanismi strani. Ci sono i galantuomini,
che magari sono lì in fila aspettando il loro turno, che quando
arriva la signora la fanno passare; oppure aiutano qualcuno che è in
difficoltà, perché magari la macchina non riesce a leggere il
codice a barre e non sanno esattamente come infilare le bottiglie.
Forse le persone hanno bisogno di sentirsi migliori e vedono la
differenza tra una cosa intelligente e una cosa che non lo è.
Secondo
te, cosa ha determinato in massima parte questo cambiamento?
È
determinato dal fatto che una delle cose più difficili per chi fa un
prodotto nuovo è farsi capire dagli altri. Fare una cosa nuova è
sempre difficile, farsi scegliere su una cosa nuova è sempre
difficile, ci sono sempre meccanismi comunicativi inesplorati che
sono come delle foreste.
Pensare
al processo di un prodotto significa ad esempio pensare che la
conoscenza della storia di quel prodotto è un'esigenza di chi lo
comprerà. La gente ha sempre più bisogno di avere consapevolezza.
Scrivere che il cestino con cui fanno la spesa è Eco23 [è
realizzato cioè con l'equivalente di 23 bottiglie di PET riciclato,
ndr] pensiamo sia importante per chi lo usa, così come la sedia
fatta con la barrique di Vietti.
La
consapevolezza è importante, è una cosa alla quale le persone
sempre di più non rinunciano, perché è quella caratteristica che
ti fa avere meno paura delle cose; ti fa essere prudente sulle cose
pericolose e tranquillo sulle cose che non lo sono. Invece sovente
siamo incoscienti e paurosi perché ci facciamo spaventare da
stupidaggini.
È
cambiato qualcosa nel tuo atteggiamento verso il lavoro a seguito di
questi cambiamenti? Perché?
Quando
mi sono laureato nel 1991, se volevi fare l'architetto dovevi andare
a lavorare gratis, nella speranza che qualcuno si accorgesse di te.
Nessuno in realtà aveva bisogno di te, e se aveva bisogno di un
designer andava a cercare qualcuno che avesse un nome. Di fatto,
quando mi sono laureato, il mondo non aveva bisogno di architetti,
gli studi avevano bisogno di giovani che lavorassero gratis.
Ora
tutti hanno bisogno di idee nuove, di gente capace, di spunti nuovi,
di riconvertire produzioni che nessuno vuole più. C'è bisogno di
tante cose che sono nella testa di chi ha la mente fresca. Ora ci
sono grandi opportunità, se sei capace di stampare un bel pezzo di
plastica puoi andarti a presentare a qualsiasi azienda ne abbia
bisogno.
L'altro
giorno, per dirti, mi ha chiamato un artigiano del distretto di
Manzano – il distretto friulano dove fanno le sedie e che in questo
momento è in grande crisi – mi ha detto di avere provato a
stampare PET riciclato, ma non è riuscito a tirar fuori niente di
buono. Ora sta cercando qualcuno che lo sappia fare. Se lo sai fare
non devi essere Philippe Stark, basta aver lavorato a Racconigi ed
essere bravo a sagomare, a usare i programmi di calcolo, a valutare
gli spessori, calcolare la resistenza, allora hai delle chance.
Il
lavoro è cambiato nella misura in cui il bisogno vero è diventato
un altro.
Alla
fine ti metti sul mercato come i venditori delle fiere con la loro
bancarella, loro vogliono che tu li scelga. Questo deve insegnarci
molto; il problema di essere scelti è il problema della vita, essere
scelti vuol dire esistere, dentro un sistema esisti perché qualcuno
ti sceglie. Quelli della mia generazione hanno deciso di fare i
professionisti senza capire cosa voleva dire creare questo
meccanismo.
Cosa
non sopporti del tuo lavoro?
No.
Il mio lavoro lo amo. Quello che sento come una stonatura è che io
ho vissuto meglio di mio padre, ma se avessi dei figli loro
vivrebbero peggio, e questo, anche se la situazione si riprende,
perché c'è come un'inerzia, è come un aereo in picchiata, anche se
tiri su la cloche, quello per un po' continua a cadere. La cosa che
mi dà fastidio sono certi meccanismi di incoerenza.
Scopro
che c'è la plastica riciclata tanto più cara e brutta di quella
nuova e tanto meno performante, ma a cosa serve riciclare se alle
persone dai un prodotto più scadente del normale? Questa è
questione di progetto, vuol dire che c'è qualcosa che non va nel
progetto e nel processo; vuol dire che ci sono cose che esistono
perché devono piacere a qualcuno, anche se non possono piacere alle
persone che le utilizzano.
Io
sono uno che ha la fortuna di fare in gran parte quello che vuole e
però se la macchina di Mr. Pet è bloccata la domenica mattina io
corro a Nichelino, e so che fare il progettista vuol dire anche fare
quello.
Qual
è la cosa più importante che ritieni di avere imparato nel tuo
mestiere?
Mr Pet a Nichelino |
Sicuramente
i valori umani. Se tu vuoi fare un certo tipo di lavoro devi capire
che esistono e devi rispettarli. Bisogna anche avere tanto coraggio,
rispetto, passione, consapevolezza, la volta che trasmetti tutto
questo la gente ti capisce e ti abbraccia, come quelli che fanno 20
km con la macchina piena di bottiglie e trovando Mr Pet rotto se le
riportano a casa.
Non esito a chiamarla fede (fiducia, fedeltà, uno
che vive bene perché crede). E quando trovo chi è contento di poter
fare un gesto intelligente che gli costa più di quanto guadagna, se
non è fede… Dopo 4 mesi in cui la macchina è rimasta ferma! Noi
gli abbiamo detto: Tenete le bottiglie che torneremo! E lo hanno
fatto. Questo è valore, è attaccamento [Mr Pet è una macchina che
raccoglie, comprime e schiaccia le bottiglie in PET, facilitandone la
raccolta e il riciclaggio. Chi porta le bottiglie carica una tessera
punti che potrà spendere nei negozi convenzionati, Ndr].
Quando
dici che hai fatto bene il tuo lavoro?
Il
successo di un progetto passa dalla condivisione. Pensa a chi ha
inventato la minigonna, o le espadrilles. Tanti le usano, vuol dire
che danno benessere a molti. Se a me chiedessero preferisci essere
chi ha inventato le espadrilles o chi ha progettato la tour Eiffel?
Avrei scelto le espadrilles. Steve Jobs, solo per fare un altro
esempio, è uno che ha risposto al bisogno di persone, che è quello
di conoscersi, riconoscersi, stare connessi. È per questo che
un'anagrafica di tre milioni di persone oggi vale più di un
condominio.
Che
lavoro sognavi di fare da bambino?
Sono
cresciuto in un'officina da fabbro con il mito di un padre che faceva
cose. Mentirei se dicessi che sognavo di fare il fabbro. Sono uno che
si è laureato in architettura e ho fatto l'idraulico per 15 anni,
perché avevo un'idea di progetto che mal calzava con l'idea di
progettazione che c'era allora. Ho sempre subito il fascino degli
altri, sono un estimatore delle cover perché credo che riuscire a
carpire i valori dalle cose e riconoscerne un dettaglio anche a
distanza di anni è importante. Per esempio Bob Sinclar e la Carrà,
al
di là del fatto che la canzone in sé non mi dice niente, c'è però
la storia di un tipo che in un'icona e in un ritornello ha trovato
qualcosa che dopo 35 o 40 anni piace ancora.
Sono
sempre stato affascinato dal lavoro degli altri. Ho organizzato la
raccolta differenziata negli anni '87/'88 perché ero affascinato dal
lavoro degli altri. Come quando lavoro con le barrique, mi piace
mischiare il lavoro mio con il lavoro degli altri, la contaminazione
e l'innamoramento.
È
proprio il lavoro che è affascinante, lì dentro c'è tutto,
qualcuno che ha un bisogno, l'imprenditore che ci scommette la vita,
per questo non mi piace quando vedo cose fatte per greenwashing,
sono inganni e gli ingannati sono sempre i meno consapevoli, i più
deboli.
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