Parità tra i sessi, la spazzola vari usi è "per la donna" |
Il lavoro è
prestazione e performance (intesa come misura della prestazione,
produttività), dunque bisogna operare per migliorare l'efficienza,
così si dice spesso e così sembra sensato a tanti.
Detta così è
un'impresa semplice, e per quanto brutale possa apparire considerare
chi lavora alla stregua di una macchina che deve esclusivamente
migliorare la sua efficacia, questa affermazione potrebbe avere una
sua ragione in un mondo caratterizzato da una perfetta razionalità,
se non fosse che per lavoro si intende un'attività condotta da
esseri umani in relazione tra loro e con un contesto fatto di luoghi,
macchine, materia, immerse in un brodo di culture, linguaggi, modi di
operare.
Il problema nasce
quando operiamo come se la nostra razionalità fosse perfetta, allora
facciamo cose apparentemente intelligenti come affidare il disegno
della bottiglia di liquore al designer, che fa una cosa bella,
elegante, sottile, sinuosa, insomma, un oggetto che richiami tutti i
valori del brand (si parla di valori, il discorso già si inquina e
la supposta razionalità si autonega); poi sviluppiamo il prototipo,
e dopo che lo abbiamo testato, produciamo gli stampi, e andiamo in
produzione (questo bell'elenco di azioni lineari rimette tutto nella
carreggiata della razionalità, meno male); infatti va tutto a
meraviglia, il disegno è bellissimo, sinuoso come le nostre migliori
modelle, il liquore è esattamente dello stesso colore del loro
vestito nella pubblicità che andrà in onda, e richiama il
principale valore di brand, perfetto. Il prototipo funziona, non
resta che mandare in fabbrica il disegno, produrre lo stampo e andare
avanti. Peccato che le bottiglie si rompano così facilmente passando
in linea.
Se avessimo
ascoltato i tecnici in fabbrica, se il designer si fosse mosso fino
alla fabbrica, forse il disegno magari veniva meno sensuale, però si
evitava di rompere le bottiglie e di fermare la linea per rimuovere i
vetri.
Il pensiero che mi
viene, alla luce di questa storia, è che forse il lavoro ha più a
che fare con la creazione di legame tra le parti che con
l'enfatizzazione di una sola variabile, l'efficienza ad esempio, che
quando ne diviene principio ordinatore finisce per creare dispositivi
di separazione e di potere invisibili.
Il
legame ha bisogno di eccedenza, di tempo, di spazio, di intelligenza
collettiva. Non può esistere uno specialista creativo a cui è
demandato l'uso dell'intelligenza, e dunque lo spreco di tempo
dedicato all'ideazione, e una serie di specialisti esecutivi a cui lo
stesso uso dell'intelligenza è negato. Altrimenti va a finire che le
bottiglie si rompono. Il danno alle bottiglie, e la perdita di tempo
conseguente, però, al contrario delle apparenze, non è il peggiore
dei danni, che invece sta nel collocare le figure esecutive nella
posizione di idiotes
(erano così chiamati coloro che nell'antica Grecia non partecipavano
della vita politica pur avendone la possibilità, rinunciando così a
dare un contributo nelle discussioni e nelle scelte su questioni di
importanza generale), persone prive della possibilità di dire la
propria su un processo che li riguarda da vicino e che anzi decide
della qualità delle loro vita. E anche il designer e progettista,
finisce per essere tale, un individuo, o un'equipe, che riflette e
agisce sui materiali e sulle forme senza avere la possibilità
effettiva di conoscerne le qualità in azione. Si guadagna in
efficienza, si perde in intelligenza. Enzo Mari scrive a proposito
che ruolo del designer dovrebbe essere quello di “farsi
accompagnare nel percorso che porta alla sintesi della forma da
coloro i quali la dovranno realizzare, per affinarne il sapere e,
così, renderli autonomi” (Progetto e passione, p. 71). A guidare i
progetti di Mari c'è sempre l'idea dello scambio, della reciprocità,
del legame sociale tra gli attori di un progetto: il gruppo sociale
che esprime il bisogno e per cui l'oggetto viene progettato e
realizzato; i venditori; l'imprenditore che attiva il sistema
produttivo; i tecnici e gli operai che agiscono in produzione; i
comunicatori; i progettisti. Ognuno di loro è legato agli altri in
maniera complessa, non del tutto pacifica, visto che nell'analisi dei
bisogni il progettista ha anche l'obbligo di registrarne le
incoerenze e incongruenze con altri valori, e le possibilità non
viste da chi li ha espressi. Ma tutto questo, per poter vivere e
generare senso, ha bisogno di alimentare il legame, attraverso
pratiche concrete e situate.
Un ingegnere illuminato, Vittorio Marchis, direbbe che non c'è nulla di più complesso della semplicità. (oggi 3/7 intervistato su Repubblica Torino pag.17)
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