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mercoledì 19 settembre 2012

Non si vive di solo salario


Lo stabilimento delle saline a Margherita di Savoia
Fa piacere aprire il pc al mattino, dare un'occhiata a cosa si trova in rete, prima di cominciare a lavorare sul serio, e trovare affermazioni come la seguente: "Troppo spesso le organizzazioni moderne non riescono a mettere gli individui in condizione di dare un senso al proprio lavoro. Perché ciò sia possibile le stesse organizzazioni devono esprimere valori e finalità in cui i lavoratori si identifichino, in un certo senso legittimando e affermando il loro legame con le comunità di appartenenza e con l'universo morale a cui fanno riferimento. Con la deificazione del profitto e del valore per gli azionisti come obiettivi strategici dell'impresa, tuttavia, la 'creazione di senso' va perduta".


La frase è di Will Hutton, studioso scozzese che si occupa di lavoro e di economia.
Fa parte di un articolo pubblicato da Reset che tratta temi difficili, perché coinvolgono la visione dell'imprenditore e degli azionisti, le capacità  gestionali dei manager, il contesto economico e sociale nel quale l'impresa è inserita, oltre al contesto culturale e il linguaggio stesso che è diventato dominante negli ultimi anni quando si parla di impresa. Basti pensare all'enfasi posta su parole come efficienza e produttività, ritenute come risultanti di processi esclusivamente tecnici.

Oggi quando si parla di responsabilità d'impresa, anche qui il significato che assumono le parole dice tante cose, si tende a pensare alle azioni filantropiche. Secondo Hutton, invece, la responsabilità è connessa al fare impresa, che vive di paradossi: deve mirare al profitto, mentre contribuisce alla crescita delle persone e del territorio nel quale opera; deve vivere di cooperazione allargata, di apertura, mentre è impegnata a sopravvivere alla concorrenza. 
La rottura dei contrari, secondo Hutton è un fatto storico, quindi non iscritto nella natura dell'impresa capitalistica, ed è dovuta soprattutto alla cultura neoliberista di stampo anglosassone. In Germania, ad esempio, secondo Hutton, vige ancora un modello di capitalismo responsabile, grazie al modello gestionale partecipativo, con i lavoratori rappresentati nei consigli di amministrazione.

Sicuramente però, e ritorno qui alla frase che mi ha colpito, il singolo individuo che lavora senza riconoscere intorno a sé motivazioni e relazioni diverse dal salario, finisce per trovarsi solo in mezzo a un contesto sociale che non riconosce e in mezzo al quale si sente smarrito. 
Scrive ancora Hutton: "il lavoro e le organizzazioni contribuiscono in modo ancor più decisivo a definire il nostro status sociale e lo scopo della nostra esistenza come individui.
Tuttavia, le teorie dominanti in materia di organizzazione aziendale non riconoscono questo vincolo, bensì pongono l’accento sulla razionalità dell’individualismo economico intesa come principio morale valido in sé, senza un contesto sociale di riferimento. E quando gli attori imprenditoriali e istituzionali negano la necessità di uno scopo di più ampio respiro, quel vuoto viene riempito dal mantra dell’efficienza, della flessibilità e della razionalità degli uomini e delle donne economici, il che alimenta un senso di alienazione, disadattamento e angoscia. A fronte di questo svuotamento morale, la corsa sfrenata al benessere materiale rimane l’unica fonte di senso: di qui la caccia a profitti sempre più esorbitanti".

In un'azienda con cui mi è capitato di collaborare ho assistito a un confronto, che coinvolgeva il management e i più di 100 dipendenti, intorno al modo migliore di allocare le risorse destinate al welfare aziendale. Alla fine di un lungo processo si era arrivati a discutere un dilemma: "è meglio investire i soldi per assumere un concierge aziendale, un factotum che va a prendere i bambini a scuola quando le mamme non ce la fanno, che va a fare la spesa per tutti, che si occupa di ritirare i panni lasciati in lavanderia, di sbrigare le varie faccende che chi è impegnato a tempo pieno fa fatica a fare, o ci impegniamo a costruire e gestire un asilo aziendale?" Alla fine, siccome l'asilo comportava anche più spese e un iter autorizzativo complesso, la scelta cadde sul concierge. Ecco, l'attenzione alle esigenze delle persone e il fatto di trattarle da adulti in grado di confrontarsi e decidere sulle tematiche che li riguardano, a me pare un altro esempio di fare azienda in modo responsabile. In questo caso è il modello di gestione manageriale che lascia uno spazio all'ascolto, facendosi carico del fatto che la vita dei dipendenti non è fatta solo di lavoro e per il resto sono affari loro.


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