Tommaso ha aperto il Tomato
backpackers hotel 3 anni fa. Era un albergaccio per appuntamenti a ore,
quindi la prima cosa che ha dovuto fare è stata cambiare numero di telefono.
Si tratta adesso di un
piccolo albergo, 14 stanze, 25 posti. Ci lavorano in tre, compreso Tommaso, a
parte il personale per le pulizie.
Tommaso l’ho incontrato la prima volta nel giugno 2014,
perché mi ha incuriosito la sua storia di giovane imprenditore e il suo
rapporto con le politiche ambientali. Avevo sentito parlare di lui e della sua
impresa, che si trova nel quartiere dove vivo, San Salvario, a Torino, e del fatto che stesse per acquisire la certificazione
Ecolabel.
Nel mio lavoro mi è capitato spesso di incontrare
albergatori attenti alla questione ambientale, ma raramente ho trovato che tale
aspetto costituisse una linea guida e volevo capire se nella storia del Tomato avrei potuto trovare qualcosa di
diverso.
Ho intervistato Tommaso il 22 dicembre 2014. Ascoltandolo mi
sono reso conto di come l’attenzione all’ambiente sia solo una delle possibili
manifestazioni di qualcosa che è più profondo e radicato nella storia che ha
fatto di Tommaso un imprenditore. Ed è per questo motivo che l’intervista si
trova su questo blog.
Alcune riflessioni, per sottolineare gli aspetti dell’intervista che più mi hanno colpito:
1) Per Tommaso
il suo lavoro è frutto di un sogno
coltivato sin da ragazzino. È stato anche fortunato, ha avuto l’occasione di
viaggiare, e sua madre ha lavorato per Lonely planet, beato lui. Ma quanti di
noi, mi chiedo, sono capaci e hanno la fortuna di ritrovarsi adulti mettendo in
connessione i sogni di bambino con quello che fanno per vivere?
2) La cosa che ha in mente progettando
l’albergo è l’esperienza che vuole
proporre, la scelta del target a cui si rivolge viene dopo. Questo gli consente
di esaltare alcune idee guida: a) deve essere un albergo dove arrivano persone
che hanno voglia di conoscere in
profondità la città, hanno voglia di immergersi nella sua vita, non sono
particolarmente interessate alle cose segnalate dall’ufficio turistico; b) deve
essere un albergo dove sia facile incontrarsi,
dove le persone “lasciano qualcosa e portano via qualcos’altro”; c) deve essere
un albergo attento all’ambiente.
3) La progettazione non ha mai fine,
l’atteggiamento di Tommaso è di chi vive in una continua tensione tra ciò che c’è
e ciò che non c’è ancora, tra ciò che sa e ciò che non sa. Ad esempio, sa ciò
che vuole, ma non sa come può raggiungere il risultato. L’azione è in parte una
scommessa e il futuro non è mai uguale al presente. Ciò che vuole mantenere è
la riconoscibilità dell’offerta, le linee guida, tutto il resto può cambiare. Riconoscibilità e stabilità sono due cose
diverse; il progetto, infatti, mantiene una sua identità, grazie al fatto
che Tommaso sa ciò che vuole: un albergo a prezzi contenuti che ospiti persone “che
hanno qualcosa da dire”, come dice a un certo punto dell’intervista.
4) La gestione della struttura e del personale
devono essere coerenti con l’idea guida. Vuol dire che “lo staff”, come lo
chiama Tommaso, va gestito nell’ottica dell’incontro,
fra loro tre, con gli ospiti, con il sapere, da raccogliere da altre
esperienze in giro per il mondo e da costruire insieme nell’attività quotidiana
e nella progettualità del Tomato.
5) Mantenere la tensione tra ciò che è e ciò
che sarà significa: a) essere aperti alla
relazione con il cliente; b) gestire la relazione con i collaboratori in
modo che al centro della relazione sia la costruzione
di sapere.
6) Sono in pochi, solo in 3, e si conoscono da tempo, questo rende tutto più facile.
7) Sono in pochi, solo in 3, e si conoscono da tempo, questo potrebbe rendere tutto
più difficile.
8) L’ambiente
come linea guida condiziona il progetto strutturale, ma non solo. Ne risentono
i servizi che propone, ad esempio
offre l’acqua depurata, di cui nell’intervista non parla e le bici; incide sull’arredo; sui progetti futuri e
sull’attivazione di partnership,
come ad esempio il giardino pensile con gli odori (anche questo non compare
nell’intervista) e il progetto con il Dipartimento di Architettura e Design del
Politecnico di Torino.
Mi capita spesso
di incontrare imprenditori, manager, e ogni volta cerco nei loro racconti
tracce di un lavoro ben fatto, e qualche volta viene anche a me il sospetto che
forse si tratta di una sorta di magia. Invece, ascoltando Tommaso, le qualità dell’imprenditore
ridiventano qualità concrete che ognuno di noi può alimentare, come
la capacità di
stabilire connessioni tra sfere diverse della propria esperienza, il rapporto
con la propria parte fanciullesca ad esempio, quella del sogno di bambino; il
rapporto tra ciò che sa e ciò che non sa inteso come accettazione dei propri
limiti; il rapporto con un’idea imprenditoriale esplicita e strutturata (albergo,
non ostello, ma a prezzi contenuti, per chi vuole fare esperienze di immersione
in città); una modalità di comunicazione che seleziona e selezionando ingaggia
il cliente, che diventa un interlocutore e portatore di sapere e proposte; la
proposta di servizi, informazioni coerenti; la continua tensione tra passato e
futuro; la modalità di coinvolgimento del personale nella gestione; la capacità
di osservare oltre il proprio mondo, ampliando lo sguardo ad altre esperienze; la
disponibilità a coinvolgere altri attori nel proprio progetto imprenditoriale,
come nel caso dell’esperienza di progettazione dell’arredamento con il
Dipartimento di Architettura e Design; la capacità di trasformare i problemi in
opportunità (la scarsità di risorse, quando ha cominciato, che lo ha spinto a
recuperare i vecchi mobili, che poi hanno contribuito a definire lo stile del Tomato).
Tutto quello che
ho scritto varrebbe anche se il Tomato
non mi piacesse affatto come albergo. Sto parlando dell’imprenditore, della sua
maestria, non del fatto che mi piace o non mi piace il Tomato. Anche se in questo caso, lo confesso, il Tomato mi piace. Si era capito?
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