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martedì 8 maggio 2012

La meccanica apparente che governa le nostre vite


La maternità è importante e ne siamo felici. Anche la paternità è importante e ne siamo felicissimi. È importante che tu, P. stia con i tuoi bambini che hai appena adottato, figurati.
Quando però P. ritorna la musica è diversa, perché ci sono le cose da fare, non si può mollare un attimo, c'è la crisi, se non lo fai tu a chi potrei affidarlo, e così via.
Così, P. va al lavoro, anche se ufficialmente è a casa per la paternità.
Il panopticon era il modello del carcere di Philadelphia
Non si fa. Non dovrebbe permetterlo, e i suoi capi non dovrebbero chiederglielo. Ma la cosa stramba è che il ritmo della vita è dettato dalle cose da fare, come se la meccanica autonoma dei fatti fosse più potente di qualsiasi soggetto. 

C'è spazio solo per uno dei due poli della soggettività, quello dell'assoggettamento, lo spazio della soggettività è altrove, forse nel tempo libero, o quello che ne rimane. E non è responsabilità di nessuno, è una meccanica, ci sono le cose, che sono da fare, c'è la crisi, e così via, tutti sottomessi a una macchina dove il senso è dato da una logica che nessuno sembra aver scelto ma che esiste a prescindere dalle volontà individuali e collettive. 

Come quei treni o aerei che sono in ritardo per via di un ritardo precedente, senza che si riesca mai a capire la ragione del primo ritardo, quello che ha dato inizio alla catena di ritardi, e allora va a finire che pare esistere una superiore volontà imperscrutabile che determina i ritardi e a cui tutti dobbiamo sottostare.



2 commenti:

  1. sarebbe interessante costruire uno spazio di ragionamento sulla necessità di dare un tempo alla soggettività non è semplice ma sono certa che esistono modelli alternativi alla catena di ritardi!

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    1. Non sono sicuro di avere capito il tuo ragionamento e l'espressione "modelli alternativi" mi spiazza un po'. Io questa specie di meccanica che governa la vita (dove nessuno è responsabile di niente, perché è così, oppure non può che essere così, perché quello di prima ha fatto ritardo, perché il mercato chiede ecc.), la vedo più come una colonizzazione dell'immaginario, come se non fossimo più capaci di immaginarci qualcosa che non sia già. Più che di modelli alternativi credo che abbiamo bisogno di spazi per imparare a immaginare. Sembra che immaginare è meno di avere o dare o costruire un modello, ma l'immaginazione è ciò che rende possibile pensare cose diverse. I modelli, eventualmente, vengono dopo. La soggettività per svilupparsi, hai ragione, ha bisogno di tempo, ma anche di cogliere in quali vincoli esterni, e soprattutto interni, sia cognitivi che affettivi, si muove

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