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mercoledì 25 luglio 2012

Progettare per farsi capire

Intervista a Marco Torchio, 16 luglio 2012
Architetto, laureato al Politecnico di Torino, è presidente di Keoproject una società nata nel 2005 e che ha sede a Racconigi, vicino Torino.
Marco Torchio alle prese con un vecchio fusto
Keo realizza progetti sostenibili dal punto di vista ambientale ed economico. Il PET, raccolto attraverso la macchina Mr Pet, piazzata davanti ai centri commerciali e nelle piazze, è trasformato in carrelli della spesa, tessuto, materia prima utilizzata da altri produttori. 
Le vecchie barrique costituiscono la materia prima con cui sono realizzate le Sedie del Torchio. Altri materiali utilizzati sono il cartone e i vecchi barili d'olio. Una divisione dell'azienda, Keohabitat si occupa della realizzazione di case di classe energetica A.

Che lavoro fai? Me lo descrivi?
Organizzo dei progetti. Il progettista è per me una persona che di mestiere pensa a un progetto. Questo progetto deve poi essere organizzato per passare dall'idea alla realizzazione che sta sul mercato.
Organizzare un progetto significa occuparsi della sua realizzazione nel tempo, della parte logistica e di quella industriale.
Il progetto è la concretizzazione, la risposta a un bisogno che viene dal mercato.

Qual è la cosa più importante nel tuo lavoro, che non devi assolutamente trascurare?
La percezione della qualità che deve avere l'altro.
Nel tempo ho maturato questa convinzione, la soddisfazione del bisogno è legata a fare stare bene le persone. Dovrebbe essere tua premura pensare al benessere della persona che abiterà la casa che hai costruito, o utilizzerà l'oggetto, il dispositivo, che hai progettato e realizzato.
A volte sbagliamo perché pensiamo che la gente pensa quello che pensiamo noi, e invece la gente pensa quello che pensa lei.
Quando devi spiegare come si usa una cosa, vuol dire che la gente la sta usando a modo suo: io penso che se non hai bisogno di spiegare, vuol dire che la gente ha capito come usare un certo oggetto e lo fa in modo adeguato.
Quando dico “gli altri” intendo dire chi paga il progetto. Normalmente i soldi arrivano dal basso, attraverso l'acquisto diretto, o attraverso le tasse, quando invece è l'ente pubblico ad acquistare qualcosa. Quando dico “gli altri” io parlo dell'utente finale, il cittadino.
Ti faccio un esempio, l'altro giorno ho visto sullo scaffale di un centro commerciale che esiste un detersivo per piatti con aroma Portofino ore 8.30, esiste pure l'aroma Montecarlo ore 24, e altri aromi del genere.
La magia di quella cosa, non è tanto chi si è inventato quel nome, ma il fatto che abbia capito che c'era qualcuno che aveva bisogno di quel detersivo e quell'aroma, tanto che mi sono ripromesso di andare a comprarne un flacone. Tu lavori su quello che l'altro gradirà.

Come è cambiato il tuo lavoro negli ultimi 3 anni?
È cambiato tanto. È cambiata tanto la mia azienda, che è passata dal pensare alla progettazione come uno studio di progettazione (dove su input del committente c'è qualcuno che pensa a come fare una cosa); al cercare il risultato attraverso indagini di processo. Noi progettiamo oggetti di plastica partendo dalla materia prima che ti viene data, il PET riciclato, che ha certe caratteristiche, con cui puoi fare delle cose e non puoi farne altre. Devi sperimentare le applicazioni possibili. Devi anche riuscire a dialogare bene con chi ha la materia prima in mano, perché questo significa pagarla di meno. Infine, devi passare dal pensare a un oggetto al pensare a un prodotto, che è costituito dall'oggetto più il valore che ha per chi lo usa.
È come la storia del detersivo con l'aroma Portofino, l'oggetto è il detersivo, il prodotto è costituito dall'oggetto più il valore che ha quel particolare aroma per chi ne fa uso. Pensare l'oggetto nelle mani della gente ha chiesto sforzi importanti. Io mi sono preso il ruolo di cercare di capire quelle cose.
Chi sceglie un prodotto lo fa perché individua in esso la possibilità di soddisfare un bisogno che spesso è immateriale. Ti racconto una scena a cui ho assistito stamattina. Ero al Carrefour di Collegno e ho visto arrivare una signora con dei tacchi da 20 cm. Faceva fatica a spingere il carrello, faceva caldo e poi a terra in quel parcheggio ci sono quei forati dove ci cresce l'erba in mezzo; eppure lei ha deciso che le andava bene così, in quel momento voleva fare quella cosa lì. Forse perché il centro commerciale è diventato come fare lo struscio e allora anche se il parcheggio ha i buchi non gliene frega niente. Si chiama libertà, che è anche quella di cadere e rompersi la caviglia.
Le aziende sovente in noi vedono il loro futuro, nuove materie prime, nuove tecnologie, nuovi sistemi di comunicare. Quando invece parliamo con le persone, troviamo che contribuiamo alla soddisfazione di bisogni primari. Vedo che tante persone si sentono bene quando portano le bottiglie a Mr. Pet. Lo capisco perché a loro costa anche sforzo raccoglierle, conservarle, magari per dei mesi, visto che la macchina è rimasta fuori uso per tanto tempo, e poi portarle.
Mi piacerebbe che scoprissimo perché si sentono bene, magari è semplicemente perché vogliono dimostrare ai vicini che loro sono più bravi, che ne so. Quando li osservo lì in fila per depositare le loro bottiglie, scopro dei meccanismi strani. Ci sono i galantuomini, che magari sono lì in fila aspettando il loro turno, che quando arriva la signora la fanno passare; oppure aiutano qualcuno che è in difficoltà, perché magari la macchina non riesce a leggere il codice a barre e non sanno esattamente come infilare le bottiglie. Forse le persone hanno bisogno di sentirsi migliori e vedono la differenza tra una cosa intelligente e una cosa che non lo è.

Secondo te, cosa ha determinato in massima parte questo cambiamento?
È determinato dal fatto che una delle cose più difficili per chi fa un prodotto nuovo è farsi capire dagli altri. Fare una cosa nuova è sempre difficile, farsi scegliere su una cosa nuova è sempre difficile, ci sono sempre meccanismi comunicativi inesplorati che sono come delle foreste.
Pensare al processo di un prodotto significa ad esempio pensare che la conoscenza della storia di quel prodotto è un'esigenza di chi lo comprerà. La gente ha sempre più bisogno di avere consapevolezza. Scrivere che il cestino con cui fanno la spesa è Eco23 [è realizzato cioè con l'equivalente di 23 bottiglie di PET riciclato, ndr] pensiamo sia importante per chi lo usa, così come la sedia fatta con la barrique di Vietti.
La consapevolezza è importante, è una cosa alla quale le persone sempre di più non rinunciano, perché è quella caratteristica che ti fa avere meno paura delle cose; ti fa essere prudente sulle cose pericolose e tranquillo sulle cose che non lo sono. Invece sovente siamo incoscienti e paurosi perché ci facciamo spaventare da stupidaggini.

È cambiato qualcosa nel tuo atteggiamento verso il lavoro a seguito di questi cambiamenti? Perché?
Quando mi sono laureato nel 1991, se volevi fare l'architetto dovevi andare a lavorare gratis, nella speranza che qualcuno si accorgesse di te. Nessuno in realtà aveva bisogno di te, e se aveva bisogno di un designer andava a cercare qualcuno che avesse un nome. Di fatto, quando mi sono laureato, il mondo non aveva bisogno di architetti, gli studi avevano bisogno di giovani che lavorassero gratis.
Ora tutti hanno bisogno di idee nuove, di gente capace, di spunti nuovi, di riconvertire produzioni che nessuno vuole più. C'è bisogno di tante cose che sono nella testa di chi ha la mente fresca. Ora ci sono grandi opportunità, se sei capace di stampare un bel pezzo di plastica puoi andarti a presentare a qualsiasi azienda ne abbia bisogno.
L'altro giorno, per dirti, mi ha chiamato un artigiano del distretto di Manzano – il distretto friulano dove fanno le sedie e che in questo momento è in grande crisi – mi ha detto di avere provato a stampare PET riciclato, ma non è riuscito a tirar fuori niente di buono. Ora sta cercando qualcuno che lo sappia fare. Se lo sai fare non devi essere Philippe Stark, basta aver lavorato a Racconigi ed essere bravo a sagomare, a usare i programmi di calcolo, a valutare gli spessori, calcolare la resistenza, allora hai delle chance.
Il lavoro è cambiato nella misura in cui il bisogno vero è diventato un altro.
Alla fine ti metti sul mercato come i venditori delle fiere con la loro bancarella, loro vogliono che tu li scelga. Questo deve insegnarci molto; il problema di essere scelti è il problema della vita, essere scelti vuol dire esistere, dentro un sistema esisti perché qualcuno ti sceglie. Quelli della mia generazione hanno deciso di fare i professionisti senza capire cosa voleva dire creare questo meccanismo.

Cosa non sopporti del tuo lavoro?
No. Il mio lavoro lo amo. Quello che sento come una stonatura è che io ho vissuto meglio di mio padre, ma se avessi dei figli loro vivrebbero peggio, e questo, anche se la situazione si riprende, perché c'è come un'inerzia, è come un aereo in picchiata, anche se tiri su la cloche, quello per un po' continua a cadere. La cosa che mi dà fastidio sono certi meccanismi di incoerenza.
Scopro che c'è la plastica riciclata tanto più cara e brutta di quella nuova e tanto meno performante, ma a cosa serve riciclare se alle persone dai un prodotto più scadente del normale? Questa è questione di progetto, vuol dire che c'è qualcosa che non va nel progetto e nel processo; vuol dire che ci sono cose che esistono perché devono piacere a qualcuno, anche se non possono piacere alle persone che le utilizzano.
Io sono uno che ha la fortuna di fare in gran parte quello che vuole e però se la macchina di Mr. Pet è bloccata la domenica mattina io corro a Nichelino, e so che fare il progettista vuol dire anche fare quello.

Qual è la cosa più importante che ritieni di avere imparato nel tuo mestiere?
Mr Pet a Nichelino
Sicuramente i valori umani. Se tu vuoi fare un certo tipo di lavoro devi capire che esistono e devi rispettarli. Bisogna anche avere tanto coraggio, rispetto, passione, consapevolezza, la volta che trasmetti tutto questo la gente ti capisce e ti abbraccia, come quelli che fanno 20 km con la macchina piena di bottiglie e trovando Mr Pet rotto se le riportano a casa. 
Non esito a chiamarla fede (fiducia, fedeltà, uno che vive bene perché crede). E quando trovo chi è contento di poter fare un gesto intelligente che gli costa più di quanto guadagna, se non è fede… Dopo 4 mesi in cui la macchina è rimasta ferma! Noi gli abbiamo detto: Tenete le bottiglie che torneremo! E lo hanno fatto. Questo è valore, è attaccamento [Mr Pet è una macchina che raccoglie, comprime e schiaccia le bottiglie in PET, facilitandone la raccolta e il riciclaggio. Chi porta le bottiglie carica una tessera punti che potrà spendere nei negozi convenzionati, Ndr].

Quando dici che hai fatto bene il tuo lavoro?
Il successo di un progetto passa dalla condivisione. Pensa a chi ha inventato la minigonna, o le espadrilles. Tanti le usano, vuol dire che danno benessere a molti. Se a me chiedessero preferisci essere chi ha inventato le espadrilles o chi ha progettato la tour Eiffel? Avrei scelto le espadrilles. Steve Jobs, solo per fare un altro esempio, è uno che ha risposto al bisogno di persone, che è quello di conoscersi, riconoscersi, stare connessi. È per questo che un'anagrafica di tre milioni di persone oggi vale più di un condominio.

Che lavoro sognavi di fare da bambino?
Sono cresciuto in un'officina da fabbro con il mito di un padre che faceva cose. Mentirei se dicessi che sognavo di fare il fabbro. Sono uno che si è laureato in architettura e ho fatto l'idraulico per 15 anni, perché avevo un'idea di progetto che mal calzava con l'idea di progettazione che c'era allora. Ho sempre subito il fascino degli altri, sono un estimatore delle cover perché credo che riuscire a carpire i valori dalle cose e riconoscerne un dettaglio anche a distanza di anni è importante. Per esempio Bob Sinclar e la Carrà,

al di là del fatto che la canzone in sé non mi dice niente, c'è però la storia di un tipo che in un'icona e in un ritornello ha trovato qualcosa che dopo 35 o 40 anni piace ancora.
Sono sempre stato affascinato dal lavoro degli altri. Ho organizzato la raccolta differenziata negli anni '87/'88 perché ero affascinato dal lavoro degli altri. Come quando lavoro con le barrique, mi piace mischiare il lavoro mio con il lavoro degli altri, la contaminazione e l'innamoramento.
È proprio il lavoro che è affascinante, lì dentro c'è tutto, qualcuno che ha un bisogno, l'imprenditore che ci scommette la vita, per questo non mi piace quando vedo cose fatte per greenwashing, sono inganni e gli ingannati sono sempre i meno consapevoli, i più deboli.

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